Da http://www.corriere.it del 12 febbraio 2007
La candidata socialista annuncia le 100 proposte per cambiare volto al Paese, elaborate in cinquemila assemblee pubbliche
Ségolène: «patto presidenziale» per la Francia
Salario minimo, sanità gratuita, pensioni più alte. Per una nazione «colorata e meticcia»
PARIGI — È stata la domenica di Ségolène, il lancio del programma tanto atteso dalla sinistra francese dopo gaffes e sondaggi al ribasso. Per due ore, la candidata socialista all’Eliseo, giacca rossa, gonna rossa a pois bianchi, in un tripudio di slogan e bandiere, ha spiegato il catalogo delle speranze, un centinaio di proposte elaborate in 5.000 assemblee pubbliche per portare la gauche alla vittoria, come ai tempi di Mitterrand. Mai nominato, ma presente in spirito e nella coreografia, come un viatico all’allieva prediletta. Ed è stata la domenica del primo confronto pubblico con Nicolas Sarkozy, che ha parlato quasi in contemporanea. I due sfidanti per l’Eliseo hanno scaldato le platee dei militanti e tenuto i francesi incollati a quattro ore di diretta televisiva. Nel fuoco d’artificio di proclami, visioni della Francia di domani e promesse, viene il dubbio che gli estensori dei rispettivi discorsi si siano parlati o che qualche segreto sia filtrato dai quartieri generali della campagna. Non è così, ma non è difficile trovare punti di contatto nella proposta e nella diagnosi della malattia francese. La Royal ha infatti denunciato l’estensione delle aree di povertà e ingiustizia, il fallimento dell’integrazione, il contemporaneo bisogno di rinnovamento e restaurazione, la voragine del debito pubblico. Per rimettere in sesto la Francia e tenere insieme la sinistra, la candidata socialista ha annunciato alcune proposte di carattere sociale e solidaristico (aumento del salario minimo e delle pensioni, assistenza sanitaria gratuita per i giovani, intervento pubblico per favorire l’acquisto della prima casa), senza attenuare un progetto moderno e riformista che si rifà alle socialdemocrazie del nord Europa: flessibilità, educazione permanente, ricerca, innovazione, ecologia. La sintesi è un «patto presidenziale» per una Francia «colorata e meticciata» in cui Ségolène afferma l’ordine, la restaurazione di alcuni valori nazionali, l’impegno ecologico, le riforme istituzionali, il decentramento amministrativo e un maggior potere di controllo del parlamento, l’apertura e il dialogo con l’opposizione, il negoziato con le parti sociali, la critica al Patto di stabilità e alla Bce, la fiscalità rapportata all’inquinamento e alle delocalizzazioni di imprese, la fustigazione delle speculazioni e delle rendite finanziarie. Una parte importante del discorso è stata dedicata alla politica internazionale, con l’intento di correggere l’impressione d’incertezza offerta nel corso degli ultimi viaggi all’estero. Ségolène ha parlato di diritti umani in Russia e in Cina, di aiuto allo sviluppo e di rilancio del processo costituzionale europeo. «Non voglio che l’Europa sia soltanto una zona di libero scambio», ha aggiunto.
Nel rapporto con gli Stati Uniti ha forse marcato il punto di maggiore differenza con Sarkozy. La candidata socialista vuole un rapporto senza complessi: «La taglia del Paese non ha niente a che vedere con i principi», ha detto. Con lei all’Eliseo, la politica estera della Francia ricorderà piuttosto l’ultimo Chirac: multipolarità, dialogo con il Mediterraneo, aiuti allo sviluppo, impegno per la pace, diversità culturale. «Con i nuovi giganti emergenti occorre reinventare le regole del gioco», ha aggiunto riferendosi a Brasile, India, Sud Africa. Naturalmente sono diverse le tonalità, a beneficio dei rispettivi eserciti. Nell’immaginario della sinistra, Sarkozy è la destra autoritaria che impone la legge dei padroni, il liberismo selvaggio. E per la destra, Ségolène è la sinistra arcaica che pensa di risolvere i problemi allargando assistenzialismo e spese dello Stato. Ma il primo round della campagna elettorale ci dice che entrambi hanno cominciato la corsa verso il grande centro, la piccola e media borghesia francese che — come ormai avviene in tutte le democrazie occidentali — determina la vittoria del candidato con scarti minimi. Corsa d’immagine e di comunicazione, di fascino e competenza, più che di promesse e soluzioni forzatamente pragmatiche e obbligate fra i paletti della mondializzazione e della spesa pubblica. Per entrambi, il pericolo viene dal «terzo uomo», quel François Bayrou che guadagna consensi fra i moderati dei due campi. Chi si attendeva da Ségolène una svolta a sinistra, per galvanizzare le truppe un po’ disorientate dai primi passi della campagna, è rimasto deluso. La candidata socialista mantiene la rotta e rilancia le proposte più provocatorie che l’hanno resa famosa all’inizio della corsa: l’inquadramento militare dei giovani delinquenti, le giurie popolari, la responsabilizzazione dei genitori, la revisione della «carta scolastica» per consentire maggiore libertà di scelta nelle iscrizioni. L’istruzione è la priorità assoluta: «la battaglia in cui si tengono insieme famiglia, sicurezza, lavoro e sviluppo». Nello stesso tempo, Ségolène insegue Sarkozy sul terreno di valori e sentimenti nazionali che in Francia trapassano gli orientamenti politici: Rivoluzione, Nazione, Illuminismo. «Oggi vi propongo un patto presidenziale perché la Francia ritrovi ambizione, orgoglio e fratellanza. Oggi come madre penso ai figli di tutti i francesi e alle generazioni future», ha urlato con gli occhi lucidi.
Massimo Nava
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