Alastair Campbell: “Lo slogan funziona se il programma c’è

Domenica scorsa La Repubblica ha dedicato due pagine allo “spindoctoring” con un bell’articolo di Bosetti ed una intervista a Campbell.

Ecco il testo dell’intervista:

Il maestro della comunicazione politica. Il più bravo. Il più duro. Il più furbo. Lo stratega che ha dato voce a Tony Blair in tre vittoriose campagne elettorali e per un decennio di successi laburisti. Oggi Alastair Campbell ha cinquant’anni e lavora per se stesso: il primo volume dei suoi diari, The Blair years, è diventato un istantaneo best-seller, scrive articoli per i giornali (compresa Repubblica), tiene conferenze (il mese prossimo al Festival di giornalismo di Perugia). Temuto e talvolta detestato dai giornalisti, è un ex giornalista anche lui: cominciò firmandosi “il Gigolò della Riviera” su un giornaletto pornografico, poi è stato direttore del Daily Mirror, più diffuso tabloid progressista britannico, e un columnist influente, che passava le vacanze con Neil Kinnock, predecessore di Blair alla guida del Labour. Quindi, insieme a Peter Mandelson, è diventato uno degli artefici del blairismo, la rivoluzione — di contenuti e di forma — che ha cambiato la sinistra europea. Per parlare di spin, nessuno è meglio di lui.

Cominciamo allora: cos’è lo spin?

«In alcuni paesi è diventato quasi una parolaccia per definire tutto quel che si dice in politica. Per me, invece, significa presentare nel miglior modo possibile un fatto o un programma, oppure presentare nel peggior modo possibile il tuo avversario. Ma se non c’è vera sostanza dietro quello che dici, lo spin non funziona. Quello che abbiamo fatto con Blair era creare una nuova strategia di comunicazione, una strategia per comunicare messaggi che parlavano di ciò che la gente istintivamente pensava e sentiva».

Chi ha inventato lo spin?

«L’idea che i politici cerchino di manipolare positivamente gli eventi è con noi da secoli. Recentemente ho letto un libro su come Lincoln divenne presidente americano: c’è una splendida descrizione di come un suo rivale per la nomination repubblicana si reca insieme a un giornalista sul luogo dove deve tenere un discorso, e durante il viaggio scrivono insieme l’articolo, incluse le reazioni del pubblico. Questa io non l’ho mai provata! La differenza è che oggi, nell’età dei media e con l’ossessione dei media per se stessi, se ne parla di più, ben al di là del peso reale. Per quel che so, la parola spin entrò nell’uso politico corrente anni fa, dopo un dibattito televisivo della campagna presidenziale Usa, quando i sostenitori dei due candidati si misero in coda per essere intervistati dalle tivù, ciascun gruppo sostenendo che il proprio candidato aveva vinto il dibattito. E ciascuna di quelle due code veniva chiamata spin alley, il vicolo dello spin».

Che impatto ha avuto lo spin nelle vittorie di Blair?

«La comunicazione strategica ha certamente avuto un impatto. Una pianificazione mediatica professionale e moderna ci aiutò a far capire per cosa lottavamo. E contribuì a riequilibrare un po’ la storica prevenzione anti-Labour della stampa britannica. Ma quando il Labour di Blair andò al potere, dopo le elezioni del 1997, quello che fece al governo fu ovviamente più importante di qualsiasi cosa dicesse. La sostanza conta sempre più della forma».

Cosa dovrebbe fare il leader di un partito in campagna elettorale?

«La cosa più importante è pianificare, sapere che hai un piano preciso, giorno per giorno, per realizzare la strategia della tua campagna elettorale. Il leader deve essere visto come qualcuno che si assume piena responsabilità, aperto e accessibile; ma soprattutto deve avere un piano e restarvi fedele. Eventi esterni possono fartelo cambiare temporaneamente, ma anche in quei casi devi usare ogni opportunità per continuare a parlare delle tue strategie e dei tuoi programmi. Nel giorno in cui lanciammo la nostra campagna elettorale del 2001, per esempio, Tony Blair fu attaccato verbalmente da una donna fuori da un ospedale e il suo vice prese a pugni un elettore che gli aveva tirato un uovo in faccia. Nei giorni seguenti rispondemmo a questi episodi nel modo migliore che potevamo, ma facemmo presto di tutto per tornare a parlare di quel che volevamo noi».

Come creare un messaggio politico vincente per un’elezione?

«Deve riecheggiare ciò che la gente ha già sentito e a cui è abituata. La gente si insospettisce se un leader politico parla in un modo fino a prima delle elezioni, e poi adotta slogan diversi in campagna elettorale. Il terreno per i tuoi messaggi principali va preparato molto prima. Poi, durante la campagna, la sfida è rendere quel messaggio chiaro, forte e interessante per il pubblico e i media. Nel ‘97 il nostro slogan elettorale era “New Labour, New Britain”, ma l’avevamo lanciato tre anni prima. Poi avevamo una serie di sotto-messaggi, il futuro e non il passato, molti e non pochi, leadership e non incertezza, che parlavano dei differenti valori che volevamo comunicare rispetto al governo conservatore dell’epoca. Ricordando sempre che, se il programma è debole, il messaggio non funziona».

Per concludere, come reagisce a sentirsi chiamare spin master?

«Mi hanno chiamato in modi molto peggiori. Ma a me importava solo una cosa: aiutare il Labour e il governo laburista a comunicare il proprio messaggio. E se guardo a com’è andata, al fatto che, prima di Blair, nessun leader laburista era mai stato rieletto due volte di seguito, e che Tony è stato rieletto tre volte, e che ha lasciato un Labour in una posizione di forza tale da poter vincere una quarta volta, bè mi pare che non è andata male e non m’interessa che etichetta mi appiccicano addosso».

Enrico Franceschini, La Repubblica

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