Una mia analisi sul Partito Democratico pubblicato il 14 febbraio su Affari Italiani (ricordate ogni mercoledì trovate una mia analisi su http://www.affaritaliani.it nella rubrica ConSenso).
Gli attuali contenitori politici dimostrano evidenti segni di logoramento e non sono in grado di rispondere in modo adeguato alle sfide di una società che è cambiata e che continua a cambiare rapidamente. Oggi, nel nostro Paese, nei confronti della politica c’è un certo distacco, c’è diffidenza e, a volte, un rifiuto totale. Basti pensare che, secondo il “IX Rapporto sugli Italiani e lo Stato” (Demos dicembre 2006), la fiducia nei partiti è all’11,7%, nel Parlamento al 23,7%. Dati che confermano i risultati di una ricerca Itanes (sempre del 2006) che evidenzia come il 38,7% degli italiani si dichiari ostile o equidistante rispetto alla politica e alle classiche autocollocazioni politiche.
Si tratta di un “elettore liquido”, distante dalla politica e che, spesso, la incolpa dei suoi problemi, di una vita insicura in quella che Bauman definisce società liquida: una società che ha come caratteristiche la “precarietà, una vita vissuta in condizioni di continua incertezza, con la paura di essere colti alla sprovvista e di rimanere indietro”.
A questa situazione troppo spesso la politica risponde lentamente e con una forte carica di autoreferenzialità; ha ragione Veltroni quando sostiene che nella cattiva reputazione della politica molto sia dovuto “al suo essere troppo prigioniera dei tempi brevi, dell’immediato, della sola immagine, dell’idea del potere che diventa il fine, e non il mezzo”. Il dibattito sul futuro PD non ha presentato finora particolari elementi di novità e le prime reazioni ai contenuti del manifesto per il Partito Democratico redatto dal gruppo dei dodici saggi, ne sono una riprova: ritorna il dibattito sulla collocazione europea, il tentativo di trovare equilibrio e rappresentanza per famiglie politiche che appartengono al secolo scorso. Vi è poco spazio dedicato all’identità, alle idee, alla visione di società. Per come sta nascendo il PD rischia di essere già vecchio, di deludere non solo molti dei militanti dei partiti che vi stanno confluendo, ma soprattutto molti dei cittadini che chiedono un soggetto nuovo più ampio (la partecipazione alle primarie e il voto all’Ulivo ne sono la riprova). La nascita del New Labour segnò un forte elemento di discontinuità: scelte programmatiche nuove, l’uso delle parola “new” di fronte al nome del partito per sottolineare la novità, una nuova immagine, ma soprattutto una nuova leadership politica.
Sempre in Inghilterra la riscossa dei Conservatori sta passando da un nuovo leader (Cameron), da nuove idee e parole chiave (responsabilità sociale e ambiente in primo luogo), ma anche dall’adozione di un nuovo marchio (la quercia al posto della tradizionale torcia). Detto questo non basta dar vita ad un nuovo partito per risolvere i problemi e avere successo. Nella politica postmoderna a contare sempre più sono i leader, che agli occhi degli elettori impersonificano programmi, partiti e coalizioni. Secondo Newman, autore del fortunato testo The Marketing of the President, nel marketing politico a contare sono quattro “p”: il “programma” che corrispone al prodotto (si tratta della piattaforma delle issue, il “push marketing” (l’attività sul campo degli attivisti), il “pull marketing” (il sistema dei mass media) e, infine, il “polling” (sondaggi e ricerche). E’ vero che che in questa fase il PD deve preoccuparsi maggiormente della sua base (militanti ed elettori fedeli), ma deve nascere con la capacità di comunicare e convincere quella crescente parte dell’elettorato che valuta partiti e coalizioni in base alla capacità di dare risposte ai problemi quotidiani (la “life politics” di Giddens), ma anche a quella parte dell’elettorato che vota in base ad elementi emotivi scegliendo nell’ultima settimana di campagna se non nella cabina elettorale.
Partiti e leader per convincere gli elettori devono avere un messaggio forte, una chiara visione e filosofia. Come ha recentemente sostenuto Marc Lazar su Repubblica “il governo Prodi soffre di un’apparente mancanza di sensibilità verso le difficoltà concrete della popolazione, in particolare sul tema delle disuguaglianze, di cui giustamente si lamentano i suoi elettori, ma al tempo stesso anche della sua plateale incapacità di richiamarsi ad una filosofia di ampio respiro”. Non si sottrae il Partito Democratico. Con 14 miei studenti ho provato, la settimana scorsa, a fare un esperimento: ho chiesto loro di scrivere tre parole che possano identificare l’identità del futuro partito democratico e del futuro partito dei moderati (partito della libertà). Per quest’ultimo ci sono tre parole che superano chiaramente il 50% delle indicazioni: libertà, sicurezza e tradizione (con declinazione aggiuntiva famiglia). Un totale di 16 parole. Per il partito democratico l’unica ad avere quattro indicazioni è eguaglianza. Per il resto nessuna parola supera le due indicazioni con un totale di 26 termini. Nessuno ha detto libertà. Nessuno ha detto opportunità. L’esperimento che è, in realtà, parte di un lavoro più ampio volto ad identificare le parole chiave nell’identità dei partiti, conferma le difficoltà del partito democratico a darsi una chiara fisionomia, ma anche un pericolo: lasciare la parola “libertà” al centrodestra, non trovare parole forti per descrivere la propria visione.
successo di Clinton e di Blair (ma in una certa misura anche di Berlusconi) è stato nella capacità di ricercare e far uso di concetti-chiave, parole, formule rigorosamente fuori dal “politichese”. Espressioni semplici, immediate, comprensibili a tutti. Semplice non è sinonimo di banale. Il messaggio del New Labour “for the many, not the few”, ha richiesto parecchi mesi per la sua elaborazione e anni di cambiamento per il partito. Rappresentava chiaramente la filosofia del nuovo partito e la sua visione della società. Come nel settore della comunicazione di prodotto, l’overdose di informazioni rischia di creare una sorta di crisi di rigetto da parte dei potenziali clienti: l’offerta appare troppo complessa e frammentata. Il governo Prodi ha reso il “cittadino consumatore” un cardine della sua politica di riforme. Non può quindi ignorare che, al giorno d’oggi, i consumatori chiedono chiarezza e coerenza. Le aziende si sono adeguate e chiarezza e semplicità hanno decretato il successo delle grandi marche globali. Allo stesso modo la politica e i partiti italiani hanno l’opportunità di rinnovarsi ponendo grande attenzione al framing (usare un linguaggio che riflette la propria visione del mondo), a stabilire il contesto nel quale verranno giudicati e a catturare l’attenzione delle persone che è una risorsa sempre più scarsa.
Ci riuscirà il partito democratico?
Ho letto con molta attenzione il suo articolo. Credo che uno dei principali problemi della politica italiana sia rappresentato dall’utilizzo di categorie politiche e terminologiche vecchie e ormai prive di senso per molti cittadini/elettori.
Intravedo in entrambi i fronti degli attuali schieramenti politici una sorta di “incapacità di comunicare il cambiamento” (politico, economico, sociale, culturale). Mi chiedevo, e le chiedevo, se tale sclerotizzazione non fosse dovuta anche, almeno in parte, al fatto che in Italia non c’è ricambio nelle elites di potere. A proposito della politica italiana, infatti, molti parlano di “gerontocrazia”.
Per quanto riguarda la facilità di inquadrare in poche parole l’identità della coalizione delle libertà (a fronte della difficoltà incontrate dal Partito Democratico di avere un chiaro e preciso “incasellamento terminologico”) ritengo che questo sia in parte dovuto alla strategia comunicativa utilizzata da Berlusconi (che rimane ancora, a mio avviso, leader indiscusso del centro destra) fin dall’inizio della sua “discesa in campo”.
L’oratoria berlusconiana, infatti, si è da sempre basata sull’utilizzo di alcune parole chiave. Una di queste è “libertà”.
La menzione esplicita di questo termine in tutti (o quasi tutti) i suoi discorsi si basa, come evidenziato da Galli de’Paratesi (2004), su una regola linguistica molto semplice pe la quale se in un testo si enuncia in modo esplicito l’esistenza di qualcosa si implica che sia un “non dato”.
In altri termini: la menzione esplicita e incessante, nei suoi discorsi, alle diverse forme di libertà (di pensiero, di espressione, di culto, di impresa ecc) implica che tali diritti (peraltro tutti costituzionalmente garantiti) non siano tutelati dai suoi avversari politici. Berlusconi e il centro destra, quindi, utilizzando questa strategia sono riusciti ad “inserirsi” nell’immaginario collettivo di una parte dell’opinione pubblica come garanti e portatori unici di libertà (l’immediata associazione mentale che si fa pensando a Berlusconi è quella con il termine “libertà”; se non altro per la nauseabonda frequenza con cui è ripetuto).
Questo probabilmente è uno dei motivi per cui la parola “libertà” viene sovente associata alla coalizione di centro destra. E il centro sinistra ha, in questo, delle chiare responsabilità comunicative.
P.S. Da poco tempo ho aperto un blog in cui mi propongo di parlare, tra le altre cose, anche di comunicazione politica. Ho messo anche un link a questo blog.