La cerimonia della cipria per i politici in tv e quei pensieri perduti

di Dacia Maraini – da http://www.corriere.it (23 ottobre 2007)

Fino a due anni fa la sera sceglievo di rimanere in casa per ascoltare i politici in televisione. Ora sinceramente preferisco dedicarmi a un buon libro oppure me ne vado a teatro. La rissa sembra avere preso il sopravvento sul ragionamento. Di dialogo non si può nemmeno parlare. È tutto un sovrapporsi, un insultarsi, un rinfacciarsi cose gravissime, senza prove. Sempre più parapiglia e sempre meno confronto. Oltretutto si sa che su ogni discussione civile vince l’ appartenenza: se sei di destra denigrerai qualsiasi cosa venga da sinistra e viceversa. Questo rende ogni dialogo prevedibile e quindi noioso. Rimango volentieri a casa per vedere quelle trasmissioni che mi danno informazioni utili e approfondite su un preciso argomento e quando invitano i politici, è per chiedere loro conto di ciò che hanno fatto. Mi piace ascoltare i dialoghi di qualche colto intervistatore che abbia conoscenza di libri e di spettacolo. Mi piacciono le inchieste, anche economiche. Le ricerche sul mondo del lavoro e tutto ciò che mi racconta le contraddizioni del mio Paese. Ma dei salotti che hanno finito per sostituire il Parlamento, credo che siamo tutti veramente stufi. Lì dove i politici vengono trasformati in divi e dove la parola scorre compiaciuta e svuotata di ogni responsabilità. Comunque lo schermo logora e piano piano uccide. Difficile reggere per tanto tempo il palcoscenico televisivo senza trasformarsi in maschere. I politici credono che la televisione dia loro visibilità e concretezza. Il che è vero per un certo periodo, poi ingenera noia e repulsione. Non è un caso che Berlusconi, da tutti considerato un «genio mediatico», in tv compare poco, soprattutto sparisce quando si tratta di discutere e difendere le proprie ragioni. Ma c’ è chi lo fa per lui, urlando in sua vece. Veltroni ha detto che si mostrerà il meno possibile sullo schermo e credo che faccia benissimo. Così anche Prodi, che si tiene alla larga dai talk show. La televisione ha uno strano potere: ti dà visibilità nel momento in cui te la toglie. Mentre finge di servirti, stritola la tua immagine e la riduce a immaginetta. Non sei più tu ma l’ icona di te stesso. Le icone però tendono alla fissità, sono immodificabili e quindi alla lunga diventano grottesche. Anche i presentatori, a lungo andare, si fanno caricature di se stessi. La gente li riconosce e li cerca, ma come si fa con un vecchio zio innocuo e un poco buffo. Il dialogo in tv, lo sappiamo, è virtuale. L’ altro non c’ è e non può mai interloquire. A furia di praticare questo dialogo teorico, il politico perde la nozione del suo pubblico. Quando poi va in mezzo alla gente, crede di essere ancora in tv e non sa di avere perso la capacità di ascoltare. La televisione inoltre sollecita la vanità. Non puoi non preoccuparti di come sei pettinato, di come sei vestito quando sai di comparire davanti alla macchina da presa. La prima volta l’ invitato proclama fiero: «Niente trucco per me», poi, di fronte alle dimostranze del cameraman che urla: «La fronte dell’ onorevole manda lampi!», si vergogna e si assoggetta alla cerimonia della cipria colorata. Ma una volta che mette la cipria, onorevole, perché non un poco di biacca per nascondere le occhiaie? E un poco di fard per non apparire troppo pallido? Questa è la dannazione della tv, che sembra dare vita e ti imbalsama. Rende artificiale ogni discorso ingrandendo le immagini in modo innaturale. Quando mai parliamo con una persona che non vede chi lo ascolta e ha una faccia dieci volte più grande della nostra? È chiaro che siamo distratti, ipnotizzati dalla piega delle labbra, da un neo sul naso, dalla montatura degli occhiali, e ci dimentichiamo l’ altro linguaggio, quello delle parole e del pensiero, che sono alla base della politica come etica sociale.
Maraini Dacia

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