I democratici e la vocazione maggioritaria
Pd, alla ricerca dell’identità
di Angelo Panebianco
tratto da http://www.corriere.it
Nella prima grande assemblea del Partito democratico che ieri, a Milano, lo ha incoronato segretario, Walter Veltroni, in coerenza con ciò che aveva già sostenuto durante la campagna per le primarie, ha disegnato l’identità della nuova formazione. Il filo conduttore di un intervento che, per sua natura, non poteva che spaziare su tanti temi, è rappresentato dalla volontà, ribadita dal neosegretario, di fare del Pd un partito a vocazione maggioritaria, ossia un partito che, al pari di quanto fanno tanti in altri Paesi europei, possa legittimamente aspirare a vincere le elezioni e, se possibile, a governare da solo. Tutto l’intervento di Veltroni andava in quella direzione: ad esempio, nel passaggio in cui ha sostenuto che in caso di voto anticipato (che egli non auspica prima che si faccia la riforma elettorale e magari anche una riforma costituzionale) il Partito democratico si presenterebbe agli elettori da solo, o in alleanza con poche forze riformiste ad esso affini, sicuro che la coerenza e la nettezza della sua proposta politica lo renderebbero comunque competitivo nei confronti dell’alleanza di centrodestra.
Bisogna partire da qui, dall’idea del partito a vocazione maggioritaria, per tentare di comprendere come Veltroni si muoverà in una fase molto delicata in cui dovrà da un lato costruire e consolidare il nuovo partito e, dall’ altro, fronteggiare la crisi della maggioranza parlamentare che sostiene il governo Prodi. Un fine così ambizioso necessita di mezzi adeguati. I mezzi riguardano sia il modo d’essere del nuovo partito, il suo profilo organizzativo, sia il contesto istituzionale in cui dovrà muoversi. Su tutt’e due i versanti Veltroni, se vorrà rimanere fedele al suo progetto, dovrà fronteggiare grandi difficoltà e schivare molte trappole. Dal punto di vista organizzativo un partito a vocazione maggioritaria non può che basarsi su una forte leadership monocratica. Avere adottato, come il Partito democratico ha fatto, un sistema di elezioni «aperto» anche ai non iscritti (le cosiddette primarie) per la scelta dei candidati alle cariche di partito è stato un passo assai importante in quella direzione. Ma la novità deve essere puntellata con altre innovazioni organizzative adeguate.
La discussione innescata dal direttore del Foglio Giuliano Ferrara sulla questione del tesseramento riguarda precisamente questo aspetto. Un partito che vive di primarie non può riproporre contemporaneamente le soluzioni organizzative (tessere, congressi, eccetera) dei vecchi partiti di massa. Deve darsi modalità diverse di organizzazione della partecipazione. Su questo tema, probabilmente, inizieranno fra poco molti conflitti sotterranei dentro la Costituente del Partito democratico. Una buona parte della vecchia classe dirigente, nata dalla fusione di Ds e Margherita, si sentirebbe minacciata e perderebbe peso a favore di Veltroni, il leader plebiscitato dalle primarie, se lo statuto che dovrà essere varato andasse in quella direzione. Dalle soluzioni organizzative che verranno adottate nei prossimi mesi capiremo se e quanto il neosegretario sarà condizionato nella sua azione dalle vecchie strutture partitiche, ereditate dal passato. Quanto maggiore sarà il condizionamento, tanto minore sarà lo spazio di manovra di cui Veltroni disporrà per dare carne e sangue al suo progetto. C’è poi il contesto esterno, la questione della riforma elettorale. Veltroni si è lasciato aperte molte strade (resistendo alle spinte di chi nel suo partito lo invitava, implicitamente, a una scelta netta e immediata).
In un passaggio efficace del suo discorso, snocciolando anche cifre sui voti ottenuti e i seggi conquistati, ha ricordato che nei grandi Paesi europei i partiti oggi governanti non governerebbero affatto se, in quei Paesi, i sistemi elettorali, anche quelli di tipo proporzionale, non contenessero comunque forti correzioni in senso maggioritario.Èun sistema elettorale del genere (un sistema, potremmo dire, che favorisca le aggregazioni anziché limitarsi a fotografare la distribuzione dei consensi esistente) che Veltroni, coerentemente con il suo progetto, auspica anche per l’Italia. Perché è così importante che Veltroni segua con determinazione e tenacia il suo sogno del partito a vocazione maggioritaria? Perché quel tentativo potrebbe favorire in Italia una grande svolta. Il contraccolpo non mancherebbe infatti anche a destra. Potrebbe infine nascere un sistema politico con due grandi Soli, due grandi partiti fra loro in competizione, circondati, ciascuno, da qualche piccolo pianeta. La condizione necessaria per passare dalla democrazia della paralisi e dell’impotenza alla democrazia governante.
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