Il PD come la sinistra europea

La crisi in cui versa il Pd è a un tempo specifica di questo partito e comparabile a quella che scuote la maggior parte delle formazioni della sinistra europea. (…) Nato dalla fusione tra Ds e Margherita, questo partito è caratterizzato dalla generale indeterminatezza della sua identità, delle sue proposte, della sua strategia, nonché del suo assetto organizzativo. Il dibattito sulla sua affiliazione o meno al Partito socialista europea cristallizza tutti questi dilemmi. Ma c’ è di peggio. Il Pd è oramai coinvolto nelle inchieste giudiziarie sul conto di alcuni dei suoi eletti regionali e locali, che fino a ieri rappresentavano uno dei suoi punti di forza. La sua immagine si sta offuscando, la sua popolarità è in caduta libera e le divisioni al suo interno si accentuano. Il Pd è nato con grandi ambizioni (…) Ma le difficoltà del Pd sono assai simili a quelle di altri partiti della sinistra riformista; cinque di esse – tra molte altre – meritano di essere menzionate. La base elettorale della sinistra europea si sta riducendo sempre più ai dipendenti del settore pubblico, alla popolazione urbana con livello di istruzione elevato, agli anziani ultracinquantenni politicizzati negli anni 50 e 60, e nei Paesi cattolici, ai cittadini che disertano le funzioni religiose. Non solo la sinistra ha perso consensi in gran parte dei ceti popolari, ma appare incapace di attrarre fasce sempre più numerose di cittadini che vivono in condizioni precarie, di giovani non diplomati e di anziani, il cui peso si fa sentire in misura crescente nelle nostre società in via di invecchiamento. Tutti questi elettori tendono all’ astensionismo, quando non votano per i partiti estremisti di destra o di sinistra (non però alle elezioni italiane del 2008) o scelgono la destra. La sinistra trova grandi difficoltà ad analizzare le trasformazioni in atto nella nostra società per effetto della globalizzazione e dell’ europeizzazione. Benché certo non ignori l’ individualismo generalizzato, la precarizzazione dei lavoratori dipendenti, l’ alto tasso di disoccupazione e lo sviluppo di nuove attività professionali, il più delle volte ricorre alle categorie mutuate dal passato, se non addirittura a residuati ideologici. Mentre oggi si tratta innanzitutto, come ha spiegato recentemente il sociologo francese Pierre Rosanvallon, di cogliere le situazioni sempre più mutevoli in cui si può incorrere nel corso della propria vita (attività professionale interrotta da un periodo di disoccupazione, quindi una nuova formazione e un lavoro diverso ecc.), e le preoccupazioni diffuse, come il timore del confronto con gli altri, la paura ossessiva del declassamento sociale, il senso di insicurezza. La sinistra, in assenza di un grande progetto mobilitante, rivendica a voce alta il proprio riformismo, e subisce le violente critiche della sinistra radicale in molti Paesi – soprattutto in Germania e in Francia, dove i rispettivi partiti stanno nettamente avanzando. Ma appare ormai svuotata di contenuti. Perché la grande impresa di rinnovamento “social-liberale” incarnata dal Labour di Tony Blair e dall’ Spd di Gerhard Schroeder si è esaurita. Perché l’ attuale crisi finanziaria ed economica ne ha evidenziato i limiti. E infine perché la sinistra europea non si mostra in grado di intraprendere ciò che invece ha saputo fare, in un contesto molto particolare, Barack Obama: far vibrare il suo uditorio, proporre un grande disegno, proclamare il proprio volontarismo politico, convincere gli elettori che possono giocare un ruolo nel cambiamento annunciato. La sinistra, soprattutto in Francia e in Italia, appare incapace di comprendere e di criticare i suoi principali concorrenti di destra. A questo riguardo sono emblematici gli esempi di Sarkozy e Berlusconi, due uomini diversi ma che presentano alcuni tratti comuni. In passato, e in parte ancora oggi, la sinistra francese e il Pd hanno mostrato una tendenza a oscillare tra due atteggiamenti opposti: erigere l’ avversario a una sorta di superman onnipotente e pericoloso, o al contrario sottovalutarlo ritenendolo solo un fuoco di paglia. Ancora recentemente, in Francia e in Italia, la sinistra ha creduto di poter trarre maggior forza dalla crisi finanziaria, che dimostrerebbe la fondatezza delle sue analisi del capitalismo e delle sue proposte. Ma per il momento questa crisi non fa che avvantaggiare politicamente i responsabili in carica. Per il Ps francese come per il Pd italiano è arrivato infine il momento di rendersi conto della reale forza di un Sarkozy o di un Berlusconi, e di misurare appieno la profondità culturale e sociale del sarkozysmo e del berlusconismo. Infine, last but not least, sempre in Francia e in Italia, la sinistra dovrà risolvere la questione del leader e della leadership, che sta esacerbando le polemiche nei suoi ranghi. In questi due Paesi la sinistra lamenta la mancanza di un grande leader, e lo cerca disperatamente; ma il suo sport preferito consiste nel fare di tutto per impedirgli di spiccare il volo. Lo si può constatare nei casi di due dirigenti apparsi in condizioni diverse, ciascuno con caratteristiche proprie: Ségolène Royal e Walter Veltroni. A sinistra l’ emergere di un leader si scontra con la concezione largamente diffusa dell’ autorità degli eguali, e col problema dei vari ego in concorrenza esacerbata tra loro. A tutto vantaggio della destra, ove il leader è non solo atteso ma plebiscitato. La sinistra dovrà accettare una volta per tutte il principio della personalizzazione delle nostre democrazie. E ricordare inoltre che un vero leader deve dar prova di audacia: saper chiamare alla riscossa le sue truppe, ma anche scuotere le proprie certezze più radicate. Traduzione di Elisabetta Horvat – MARC LAZAR

Da Repubblica – Leggi articolo completo

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