AL SERVIZIO DI TONY BLAIR E IN TRINCEA CONTRO I MEDIA
Repubblica — 15 febbraio 2008 pagina 39 sezione: CULTURA
Quando lavoravo per Tony Blair ero indubbiamente un consumatore di notizie non comune. Oggi, leggo molto meno i giornali e seguo meno i notiziari televisivi. Uso Internet più di quanto avrei immaginato di fare nei dieci anni durante i quali non ho mai spedito una e-mail. Ma quando succede qualcosa di veramente eclatante, come l’ assassinio di Benazir Bhutto, mi ritrovo incollato ai notiziari in diretta. Una volta assimilata la notizia del suo omicidio, ho trovato i servizi in diretta ripetitivi e superficiali. I commentatori, con una o due eccezioni, non erano niente di che. – Alcuni dei servizi giornalistici apparsi sulla stampa la mattina dopo, invece, mi sono sembrati eccellenti. L’ avvenimento, raccontato in modo esauriente, era accompagnato da analisi approfondite. Il settore che mi interessa di più e nel quale ho più esperienza è quello dei reportage politici. Ho smesso di collaborare con Tony Blair per una serie di motivi, e uno di questi è stato che i rapporti tra media e politica erano diventati pessimi e che io ne ero diventato il simbolo, perciò una parte di me ha pensato che le cose sarebbero migliorate se me ne fossi andato. Non è stata l’ unica ragione, ma c’ era anche questa. Non sono sicuro che le cose siano migliorate. Poco prima di lasciare il suo incarico, Tony Blair disse che nei moderni reportage politici sembrava non esserci spazio per le sfumature di grigio. Guardiamo e ascoltiamo soltanto il linguaggio degli eccessi. I servizi giornalistici sulla figura del suo successore hanno confermato questa tesi. Durante le prime settimane, i trafelati giornalisti che bivaccano davanti a Downing Street ci dicevano di come Gordon Brown non potesse sbagliare. Poi l’ umore è cambiato, il prisma si è modificato e siamo passati dalle stelle alle stalle. Tony Blair aveva vissuto la stessa esperienza. Nessuno dei due ha avuto reportage attendibili perché in essi era assente ciò che rende interessante sia la vita che la politica: le sfumature di grigio che stimolano una franca discussione. Ma le sfumature mal si adattano alla formula. Trionfo o disfatta. Successo assoluto o crisi totale, le parole più sfruttate nel giornalismo politico. Durante i dieci anni trascorsi accanto a Tony Blair, credo che avremo attraversato cinque o sei autentiche crisi. La stampa ne ha definite tali a centinaia. Due veri momenti critici sono stati quelli della Mucca Pazza e le proteste per il rincaro del carburante. Penso che le proteste per il carburante abbiano segnato uno di quei momenti in cui i media hanno davvero perso la testa. Affamati di una genuina opposizione in Parlamento, hanno visto nella folla improvvisata che presidiava le raffinerie un mezzo per tenere a freno il potere del governo. Hanno fatto finta che le dimostrazioni di qualche agricoltore e di qualche camionista fossero in qualche modo democrazia rappresentativa o che quelle proteste provenissero dallo stesso genere di movimento politico che aveva abbattuto il comunismo. Si consideravano degli agitatori e non dei giornalisti e rimasero piuttosto male quando la gente decise che la cosa era durata anche troppo. Credo che quando Tony Blair si rese conto che, anziché limitarsi a raccontare la crisi, i media stavano facendo il possibile per aggravarla, abbia iniziato a preoccuparsi meno della loro opinione e più del loro ruolo in seno alla nostra società. A chi si interessa di questi problemi, consiglio caldamente il suo discorso su ciò che egli definisce “l’ incredibile influenza, il peso e l’ incessante iperattività” dei moderni mezzi di comunicazione, i cambiamenti che hanno comportato per la gente nella vita pubblica, e ciò che egli ritiene sia il danno che hanno creato in termini di fiducia e sicurezza in sé stesso del Paese. Essendo all’ epoca contrario alle speculazioni, non lo scrissi né ho dato alcun contributo significativo che non consistesse nell’ esperienza condivisa di cercare di affrontare questo diverso scenario. Non avrei certamente indicato l’ Independent quando il Mail è il più perfido quotidiano del Regno Unito, e so che questa è anche l’ opinione di Blair. In effetti è un interessante paradosso il fatto che il quotidiano considerato quasi universalmente come il più perfido sia anche quello che molti professionisti dei media considerano il meglio confezionato. L’ analisi di Tony Blair fu che nel contesto in trasformazione dei media l’ unica cosa che aveva importanza era l’ effetto prodotto. «Ovviamente l’ accuratezza di una storia ha la sua importanza, ma è secondaria rispetto all’ effetto», disse. La discussione che Tony Blair sperava di stimolare sulla natura dei media e sul modo in cui potremmo migliorare il dibattito politico per giungere ad una migliore informazione dell’ opinione pubblica, apparve e tramontò nello stesso giorno perché l’ opinione collettiva dei media fu che quella era una discussione che non andava affrontata. I titoli e le vignette umoristiche si occuparono della definizione “belve feroci”. Il carrozzone passò rapidamente oltre. Naturalmente c’ è un terzo lato del triangolo, ed è l’ opinione pubblica. Politici e media possono criticarsi reciprocamente. Né ai politici, che vogliono essere eletti, né ai media, che hanno bisogno di non perdere i loro lettori e spettatori, sorride l’ idea di criticare l’ opinione pubblica. Ma niente cambierà davvero fino a quando l’ opinione pubblica non lo riterrà importante. Quanto importante, non saprei dire. Non lo so. Tony Blair ha avuto la stampa peggiore di chiunque altro nella storia del Regno Unito, se valutata quantitativamente, e ciò nonostante ha vinto tre elezioni, ha portato a termine gran parte di quanto si era prefissato di realizzare e si è dimesso all’ incirca nel momento da lui scelto per proseguire a fare altre cose. In politica, è necessario comunicare e avere operazioni mediatiche. Negli affari, per via della rapidità con la quale una notizia può danneggiare un marchio, il problema della reputazione comporta la necessità di essere consapevoli del proprio profilo pubblico e mediatico. Nello sport, i media costituiscono una determinante ragione di crescita di interesse e di incassi e molta gente dello sport ai massimi livelli ha obblighi contrattuali da rispettare. Ma quando ho sentito Fabio Capello dire che vuole imparare rapidamente l’ inglese per poter parlare bene la lingua durante la sua prossima conferenza stampa, ho pensato: “Priorità sbagliata”. Scriveranno milioni di parole su di lui. Nessuna sarà importante quanto i risultati. Riuscire ad ottenere dei risultati senza perdere tempo a preoccuparsi dei media: questa è giusta priorità. Politici e giornalisti hanno entrambi un compito da svolgere e dovrebbero cercare di farlo senza considerare l’ altro come un subumano. Entrambi hanno un problema che tocca il tema della fiducia e della partecipazione. La politica ha bisogno di essere più autonoma di fronte ai cambiamenti. I media devono affrontare il bisogno di una discussione più franca circa il loro ruolo e capire che le loro responsabilità in una democrazia moderna vanno oltre i guadagni e la capacità di riempire degli spazi. Dicono di voler discutere, ma lo fanno davvero? Tony Blair non è riuscito a far proseguire il dibattito. Jeremy nemmeno, non più di quanto lo farà proseguire questo scritto. Persone come John Lloyd al Reuters Institute ce la mettono tutta per cercare di stimolare un dialogo maturo, capace di andare un po’ più in profondità della dicotomia “politici cattivi/ media sempre nel giusto”, ma tendono ad essere tenuti in disparte o a essere considerati dei traditori della causa dei media. Mi piacerebbe poter contribuire ad una discussione sul modo in cui i media potrebbero evolvere per dare forza ad una discussione democratica e alla comprensione del mondo da parte della gente, ma non credo che la maggior parte dei media desideri questo dibattito. Le cose potrebbero cambiare, ma soltanto se, tra le tante cose che interessano alla gente, ci fosse anche questa. (Traduzione di Antonella Cesarini) – ALASTAIR CAMPBELL
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