Romanzi e politica: la lezione di Orwell da Il Corriere della Sera, 2 marzo 2008, p.27
Perché la narrativa è più efficace dei saggi
di Robert Harris
Confesso, chi ha visto nel mio ultimo romanzo – Il ghost writer (Mondadori) – il profilo politico e il carattere di Tony Blair aveva ragione. Il mio Adam Lang è lui, almeno in parte. Ma anche il caso ha giocato un ruolo in questa storia. Tutto comincia con un’ idea che ho avuto tanti anni fa. Dopo Fatherland, volevo scrivere una pièce teatrale con tre personaggi principali: un primo ministro, sua moglie e un ghostwriter. Avevo due problemi. La scelta del leader politico su cui plasmare il mio personaggio di fiction e l’ ambientazione. Poi una sera, guardando la Bbc, ho sentito dire che Blair poteva essere perseguito dal tribunale penale internazionale per la guerra in Iraq. A quel punto tutti i tasselli del mio puzzle sono andati a posto. Ho deciso di ambientare la vicenda in America perché gli Stati Uniti sono uno dei pochi Paesi che non riconosce il tribunale internazionale: potevano negare l’ estradizione del mio personaggio, Adam Lang. La mia frequentazione di Tony Blair rendeva, inoltre, più semplice immaginare il carattere e le attività di Lang. Ho incontrato Blair per la prima volta nel 1992 e sono stato uno dei più convinti sostenitori del blairismo. Quando è stato eletto per la prima volta nel maggio del 1997, ero accanto a lui mentre pronunciava il suo primo discorso da premier. Ho cominciato a dubitare di lui quando si è cinicamente liberato di Peter Mandelson, l’ ideologo del New Labour e mio grande amico. A quell’ epoca Mandelson era segretario di Stato per l’ Irlanda del Nord e Blair lo liquidò per questioni interne al partito. Sacrificò uno degli intellettuali laburisti più validi per il proprio tornaconto. Poi, nel 2003, c’ è stata la guerra in Iraq e le menzogne con cui venne giustificata e l’ appiattimento della Gran Bretagna sulle posizioni dell’ America di Bush. Da quel momento i nostri rapporti si sono ulteriormente raffreddati. Continuo a pensare che Tony Blair sia stato un uomo politico dotato di talento e che abbia fatto tanto per il mio Paese, ma su Mandelson e l’ Iraq si è rivelato una grossa delusione. Questo romanzo, però, credetemi, non è stato scritto con spirito di rivincita o con cattiveria. Ho soltanto pensato che attraverso un romanzo potevo esprimere la mia critica alla politica estera blairiana e raggiungere anche i lettori che di solito non leggono saggistica. Si può scrivere di politica anche in un romanzo senza guastare né l’ una né l’ altro. Il libro che più ammiro è 1984 di George Orwell, uno degli scrittori più significativi del Novecento inglese. Orwell era convinto che si potesse fare della «scrittura politica» un’ arte, grazie alla chiarezza espositiva e a un linguaggio semplice, scarno. A queste sue idee avevo ripensato scrivendo la biografia non autorizzata di Bernard Inghamn che era lo spin doctor, il consigliere personale di Margaret Thatcher. Anche Tony Blair, purtroppo, ne aveva uno, Alastair Campbell. Da quando esiste la politica, esiste lo spin. È normale che la classe dirigente di un Paese cerchi di far passare un certo messaggio rispetto a un altro, così come è normale che si cerchi di mettere a tacere alcuni fatti scomodi. Tutto deve però restare nella proporzione delle cose. Il New Labour ha perso di vista il buon senso e ha dato alla comunicazione e alla distorsione dei fatti un’ importanza eccessiva. Nessuno avrebbe mai pensato che una volta al governo i laburisti sarebbero ricorsi allo spin più di Margaret Thatcher e più di John Major. Il governo conservatore di Major crollò proprio per l’ immagine poco pulita che dava di sé, per gli scandali e per i tentativi di insabbiamento. Blair ha dato ad Alastair Campbell un potere senza precedenti. Campbell era de facto più importante di un ministro, più importante di un parlamentare laburista. Per le regole della democrazia britannica questo non era accettabile. Come diceva il mio amico ed ex ministro laburista, Roy Jenkins, «non sono contro il blairismo, sono contro il campbellismo». La politica è valida quando lo sono gli argomenti di cui tratta. Anche se la fine delle ideologie ha impoverito il dibattito politico. Oramai sono pochissime le persone che ascoltano i discorsi dei politici o vanno ai congressi dei partiti. Tutto dev’ essere immediato, di facile comprensione. Conta di più l’ aspetto esteriore delle cose – lo spettacolo – del contenuto. La gente spesso si lamenta di questo ma ne è anche la causa. Quando Blair ha lasciato il posto a Brown molti hanno detto: «Finalmente ora si parlerà di contenuti e non di immagine!». Eppure adesso che Brown è in difficoltà nei sondaggi, lo si accusa di essere un cattivo comunicatore e di non curare abbastanza l’ immagine! In un certo senso un uomo politico, in una società altamente tecnologica come la nostra, è anche lui un ghost, un fantasma. Pensa di comandare un partito, ma in realtà chi comanda sono quelli come Campbell, loro determinano l’ agenda politica. È ormai così in tutto il mondo, altrimenti Roman Polanski non mi avrebbe telefonato, gridando entusiasta: «It’ s fantastic!», quando ha letto il manoscritto del romanzo. Qualche anno fa avevamo pensato di fare un film tratto da Pompei. Poi ci siamo accorti che sarebbe venuto a costare troppo. Girare Il ghost writer è molto più economico. Non so ancora chi interpreterà Adam Lang, ci vorrebbe qualcuno di brillante, a suo agio sotto i riflettori e in mezzo alla folla, uno capace di sedurre e di vendersi al pubblico. Forse Pierce Brosnan sarebbe l’ ideale. Anzi, la verità è che nessuno potrebbe interpretare meglio la parte di Tony Blair dello stesso Tony Blair. Dopotutto non ha più responsabilità di governo. Sono convinto che la cosa gli piacerebbe da morire.
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