Il fattore razza

Dal Corriere della Sera di oggi una parte dell’interessante intervento di Jay McInerney

Per vincere le elezioni, Obama dovrà convincere ben più di un manipolo di grezzi xenofobi della sua fedeltà al credo americano, ed è per questo motivo che la destra continua a diffondere calunnie sui suoi presunti legami con i musulmani. E pur volendo evitare di toccare questo tasto, non sarà sfuggito a nessuno che Obama è un afro-americano. Se qualcuno nutre dubbi sul ruolo notevolissimo che la razza svolgerà nelle prossime elezioni, dovrebbe rinfrescarsi la memoria su quanto accaduto a Harold Ford nel 2006, nella corsa al Senato.
Ford è un deputato afro-americano molto stimato, originario di Memphis. Dopo cinque mandati al Congresso, Ford si è candidato al Senato nel 2006 contro il repubblicano Bob Corker. Nel Tennessee conservatore, Ford è un democratico altrettanto conservatore che si oppone all’aborto e al controllo delle armi. Un mese prima delle elezioni, mentre i sondaggi davano a Ford un vantaggio di cinque punti sul rivale, il partito repubblicano ha mandato in onda una pubblicità televisiva in cui l’attrice Johanna Goldsmith vestiva i panni di una ragazza bionda che raccontava di aver incontrato Ford, all’epoca ancora celibe, al «Playboy party». «Harold, chiamami», sussurrava la donna con un sorriso malizioso, rivolta alla telecamera. Se sia stata questa pubblicità, che persino alcuni repubblicani hanno tacciato di razzista, a vanificare gli sforzi di Ford, oppure se gli elettori bianchi abbiano mentito, a beneficio dei sondaggi, sostenendo di voler appoggiare un candidato nero, il risultato è stato che Ford ha perso e Corker è diventato l’unico senatore repubblicano a vincere le elezioni in un anno dominato dalla valanga democratica.
Dato interessante: il responsabile della pubblicità contro Ford, tale Terry Nelson, ha lavorato per oltre un anno come manager della campagna elettorale di John McCain. Nelson è stato silurato quest’estate, apparentemente per gli scarsi risultati ottenuti nella raccolta di fondi. Ma chiunque sperava che la campagna di McCain non si sarebbe abbassata a sferrare colpi bassi di questo genere, agitando lo spauracchio della razza, peraltro arsenale tradizionale dei repubblicani, si sarà chiesto quale sia l’insinuazione razziale nella famigerata pubblicità delle star, che McCain ha messo in giro subito dopo il ritorno di Obama dall’Europa. «È l’uomo più celebre al mondo», dichiara una voce, alternando immagini di Obama circondato dai sostenitori festanti con spezzoni simili di Paris Hilton e Britney Spears. E a molti l’accostamento tra le donne bionde e il candidato nero è parso del tutto intenzionale.
Obama è riuscito a entusiasmare gli afro americani e i giovani, ma per vincere la Casa Bianca dovrà convincere una quota consistente della classe operaia bianca. I repubblicani, dal canto loro, dovranno attirare gli elettori indecisi e ricompattare le file dei cosiddetti democratici reaganiani, ovvero quegli elettori della classe operaia per i quali patriottismo e religione vengono prima degli interessi economici. Se Obama fa leva sulle loro speranze, McCain, a giudicare dagli ultimi discorsi e dalle recenti vicende del suo partito, preferisce appellarsi ai loro timori. Anch’io propendo per la speranza, ma mi sento alquanto intimorito all’idea che, alla fin fine, saranno le paure e i pregiudizi a prevalere.

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